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Famiglia - Stili di vita - Salute - Benessere

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È necessaria una importante premessa sulla genitorialità: fino a qualche decennio fa si pensava fosse sufficiente che una famiglia desiderasse ed accogliesse un bambino fin dalla nascita per assicurargli un sano sviluppo psico-fisico. Invece oggi più che mai dobbiamo avere una visione più ampia e stare al passo dei cambiamenti epocali. Le cure parentali non rappresentano solo amore ed accoglienza, ma è cura ed educazione che cambia al passo con i mutamenti della realtà a livello sociale, e a secondo delle nuove necessità anche di famiglie allargate per esempio.

La prima funzione genitoriale è di proteggere e avere la capacità di capire le esigenze psico-fisiche del proprio figlio al fine di costruire una “base sicura” usando il termine di Bowlby, psicoanalista che si è principalmente occupato del legame di attaccamento fra genitore e bambino. Difatti ogni individuo nonostante le incertezze e le delusioni della vita ha necessità di un riferimento sicuro in sé stesso, che gli viene dall’attaccamento sicuro prima alla figura materna (e/o paterna) con le cure primaie e poi alle figure significative.

La base sicura è poter sentire nel profondo una fiducia di base, come una specie di salvagente che ci mantiene a galla nonostante il mare mosso. Questo salvagente è però interiore ed è impercettibile se non a noi stessi nei momenti di difficoltà.

L’Epigenetica, branca della genetica, l’ha studiata in modo scientifico con studi di laboratorio su cuccioli di ratto. Nei cuccioli allevati con alto livello di cure materne veniva stimolato il rilascio di serotonina, ormone del benessere, questo induce modifiche epigenetiche (acetilazione) a livello dell’ippocampo determinando una migliore risposta allo stress, che permaneva anche in età adulta. Questa maggiore resilienza è trasmissibile anche alle generazioni successive. Quindi cuccioli ben accuditi alla nascita diventavano delle buone madri accudenti.

Al contrario i cuccioli con madri poco accudenti avevano bassi livelli di serotonina e un’aumentata metilazione a livello dell’ippocampo, presentavano un comportamento stressato ed insicuro con ridotta tolleranza allo stress, che veniva trasmesso anche alle generazioni future.

Ciò significa che è l’atteggiamento materno, più o meno accudente con le cure primarie, a stabilire un meccanismo biologico che diventa irreversibile fino provocare modifiche nell’espressione genica trasmissibile alle generazioni future Riprenderò questa importante ed affascinante argomento di grande attualità riguardante l’Epigenetica nel trauma precoce in un prossimo blog.

Ecco perché proteggere la crescita e lo sviluppo precoce sostenendo le mamme e i papà alla funzione genitoriale è una missione fondamentale per far progredire lo sviluppo del bambino e porre le basi della sua salute futura.

Lavoro come pediatra da circa 40 anni e sono sempre più convinta che bisogna educare alla genitorialità molto presto, già in fase adolescenziale tramite un’educazione agli affetti ed ai sentimenti affinché la sessualità matura venga integrata nella sfera emozionale ed affettiva del giovane adulto. Solo in questo modo è possibile creare nella futura coppia le migliori condizioni per generare una nuova vita in modo cosciente e responsabile.

Come nasce la genitorialità

Cramer e Palacio Espansa hanno ben descritto tutte le modifiche psichiche che intervengono con il fatto di diventare genitori, ma soprattutto con quello di diventare madre. L’inclusione del bambino nell’organizzazione psichica della madre (in minor misura del padre, per lo meno nelle fasi molto iniziali) è l’elemento centrale nelle dinamiche normali e psicopatologiche del post-partum (periodo riferito in senso lato ai primi due anni di vita). Difatti la patologia dell’attaccamento viene innescata dalla presenza del bambino, semplicemente non potendo esprimersi in precedenza. La genitorialità (soprattutto col primo figlio) costituisce effettivamente una nuova fase dello sviluppo, un evento di vita spesso costoso per l’adattamento psichico e biologico, che richiede delle modifiche sostanziali non solo dei comportamenti di vita ma anche dell’assetto personale. Per tale motivo si possono determinare delle manifestazioni patologiche, non necessariamente esistenti in precedenza, quali la depressione post-partum (leggi qui l'articolo su: "Come Affrontare la depressione post-partum", le varianti masochistiche della genitorialità, e addirittura degli scompensi psicotici.

Si può cogliere una coincidenza fra nascita di un figlio e squilibrio psichico della neo-madre. Alcuni studi parlano di un senso di tristezza della donna dovuta alla perdita della sua identità di figlia una volta che diventa madre: è come se la sua infanzia venisse fissata per sempre come una storia passata e dovesse rinunciare a tutte le fantasie a lungo coltivate di riparare i pregressi vissuti spiacevoli. Ciò può contribuire alla depressione post-partum.

Lutto evolutivo della genitorialità

Questi Autori evidenziano che allo stesso modo con cui il sopraggiungere dello sviluppo puberale porta con sé la realtà incontestabile della sessualità, non più solo fantasticata ma agita nel concreto, realtà che l’adolescente deve integrare nel suo mondo psichico tramite l’identificazione con la rappresentazione inconscia dei propri genitori sessuati, così l’arrivo di un figlio impone identificazioni con il funzionamento genitoriale dei propri genitori.

Il giovane adulto, una volta che diventa genitore deve fare i conti con il suo passato, soprattutto con l’immagine inconscia dei suoi genitori, se sono stati soddisfacenti o meno nei suoi confronti e delle sue esigenze infantili. Se la giovane madre ha difficoltà ad accettare le mancanze e le carenze dei suoi genitori, e sente come una grave privazione e perdita l’assenza nella sua infanzia di una madre accogliente e gratificante vivrà con un grave conflitto l’evento della sua genitorialità. Difatti sarà divisa fra un “ideale di madre” troppo esigente, a cui difficilmente potrà aderire nella realtà, nel tentativo di compensare le carenze subite ed un Io identificato inconsciamente con gli aspetti rifiutanti, poco accoglienti o addirittura violenti della propria madre. In questa situazione la madre avrà un conflitto di tipo depressivo, che può assumere anche aspetti patologici, in quanto si sentirà incapace ed inadeguata, sia perché si prefigge un ideale di madre troppo elevato e soprattutto perché la sua realtà psichica, derivante essenzialmente da esigenze infantili non soddisfatte, non le dà gli strumenti di base per essere una buona madre perché ella stessa sente di non averla, mai avuta.

Normalmente l’adulto si identifica con l’immagine del genitore da cui si è sentito amato; allo stesso modo egli proietta sul bambino la rappresentazione del figlio amato che ha sentito di essere con i propri genitori, ma se c’era stata un eccessiva ambivalenza nei riguardi di questi ultimi durante l’infanzia e durante la adolescenza essa si riattiva. In altre parole, con la genitorialità si evidenziano i conflitti e i lutti (intesi come angosce di perdita per separazione) male elaborati precedentemente.

Questi lutti contribuiscono alla possibilità che “il lutto evolutivo” legato alla genitorialità assuma spesso caratteristiche patologiche: perdere il ruolo di figlio per diventare genitore viene vissuto dal giovane genitore come un abbandono da parte dei propri genitori. Quando il vissuto di abbandono è troppo intenso si determina una tendenza difensiva alla negazione sia del dolore e della tristezza, legata ai vissuti di abbandono, che della rabbia che questi provocano (Cramer e Palacio-Espasa, 1993).

Se ora facciamo riferimento ad una madre, che ha il compito di aver cura della prole fin dalla nascita, possiamo capire le sue difficoltà nella funzione materna. Il rapporto che la madre stabilirà con il proprio bambino sarà completamente distorto in quanto il suo vissuto nei confronti delle imago dei genitori, oppressi dai rimproveri e dalle esigenze disattese durante l’infanzia, condizionerà rigidamente il suo atteggiamento verso il figlio per un riattualizzarsi del passato (ritorno di sentimenti rimossi).

L’aggressività e la rabbia, repressa e negata verso i propri genitori, riaffiora e ritorna nel rapporto con il figlio; difatti queste madri identificano proiettivamente l’immagine della bambina, aggressiva e rivendicante, che hanno sentito di essere nel loro passato, nel proprio figlio.

Difatti la caratteristica saliente del funzionamento psichico nel post-partum è che il bambino diventa depositario di aspetti del Sé e di oggetti interni della madre attraverso meccanismi proiettivi; così tutta una serie di investimenti, fino a quel momento rinchiusi nello spazio intrapsichico materno, si distribuiscono nello spazio della relazione con il bambino.

Dal punto di vista materno il figlio diventa una estroflessione, quasi come una ernia, del suo mondo interno e su di lui vengono esternalizzati i contenuti intrapsichici materni.

Il difficile compito della maternità

La società ha subito tanti cambiamenti, non abbiamo più le certezze e i riferimenti di una volta, soprattutto molti valori insiti nelle relazioni umane che hanno permesso la nostra evoluzione sono venuti meno. La maternità avviene sempre con le stesse regole dettate dalla natura umana (fatta eccezione della maternità in provetta) e rispecchia invece la complessità della psiche materna capace di far crescere e dare alla vita una nuova creatura La totale dipendenza alla nascita del piccolo d’uomo richiede cure materne continue come se il piccolo fosse ancora in utero. richiedendo alla donna spesso il prezzo maggiore, fatte le dovute eccezioni per alcune coppie. Ripercorro alcune teorie dei grandi della psicoanalisi per venire alle grandi contraddizioni della società di oggi. La donna con la gravidanza sente crescere una nuova creatura nel suo grembo e si sente tutt’uno con essa; il padre senz’altro partecipa a questo nuovo evento ma non può avere le stesse forti sensazioni ed emozioni che ella prova. Sappiamo che le modificazioni corporee hanno una corrispondente equivalenza sul funzionamento psichico: come avviene con la maturazione neurologica del bambino che lo porta al distacco psichico dalla madre, e come accade nella pubertà in cui lo sviluppo sessuale porta l’adolescente ad una integrazione psichica della propria immagine sessuata nella personalità e ad un’ulteriore maturazione del funzionamento mentale, così colla gravidanza inizia uno specifico funzionamento psichico della madre che si completa nei primi mesi dopo il parto. Winnicot (1958) è stato il primo a descrivere questa particolare condizione psicologica della madre, che ha definito “preoccupazione materna primaria”, la quale si sviluppa poco a poco per raggiungere un grado di elevata sensibilità durante la gravidanza, specialmente verso la fine, e dura alcune settimane dopo la nascita del bambino. Questa estrema sollecitudine della madre si traduce in una notevole sensibilità per lo stato di benessere del bambino, che è motivata in parte dalle reali esigenze di questo ultimo, essendo spesso indotta da un’angoscia fantasmatica di pericolo di morte non giustificabile dai dati di realtà.

“Questo stato, che potrebbe apparire dall’esterno come una malattia se non vi fosse il fatto della gravidanza, è paragonabile ad uno stato di ritiro, ad uno stato di dissociazione, ad un disturbo più profondo, quale un episodio schizoide in cui uno degli aspetti della personalità prende temporaneamente il sopravvento. All’inizio della vita del bambino la madre deve essere capace di raggiungere questo stato di elevata sensibilità, quasi una malattia, e di guarirne… Vi sono donne che non sono capaci di preoccuparsi del loro bambino piccolo escludendo qualsiasi altro interesse, nel modo che è temporaneamente normale. Si può supporre in alcune di esse una fuga verso la sanità…. Quando una donna ha una forte identificazione maschile trova particolarmente difficile svolgere questa parte della funzione materna, e l’invidia del pene rimossa lascia poco spazio alla preoccupazione materna primaria.

Ne consegue che queste donne che hanno messo al mondo un bambino ma hanno fallito nella primissima fase, devono compensare la loro carenza. Attraversano allora un lungo periodo in cui si devono adattare il più possibile ai bisogni del loro bambino che sta crescendo, e non è sicuro che riescono a rimediare al danno provocato nei primi tempi. Invece di godere del buon affetto di una preoccupazione temporanea precoce si trovano coinvolte nella necessità di una terapia per il loro bambino, cioè di un periodo prolungato di adattamento ai suoi bisogni, o di vizi. Fanno le terapiste invece che le madri.”

Cramer e Palacio-Espasa (1993) affermano che la nascita di un bambino presenta caratteristiche che modificano profondamente l’organizzazione psichica dei genitori; essi difatti sono esposti ai seguenti principali cambiamenti:

La coppia deve passare da una posizione diadica ad una triadica, ricreando una situazione edipica con il rischio che uno dei genitori si senta il terzo escluso (in genere si tratta del padre)

Dallo statuto di figlio, l’adulto è costretto ad assumere un ruolo genitoriale, rivivendo le vicissitudini delle identificazioni con le immagini buone e cattive dei genitori della fase predipica (primi due–tre anni di vita con eventuali angosce abbandoniche) e della fase edipica

Durante la gravidanza, quando il feto è rappresentato come diverso, per esempio con i consueti esami ecografici, la madre crea nella sua mente il “bambino immaginario” operando delle proiezioni sul figlio, che funziona come una schermo più o meno vergine, su cui sono attirati i suoi vecchi legami infantili o persone significative del proprio passato. In altre parole il processo proiettivo è spinto dal desiderio della madre di ritrovare i suoi oggetti, di riallacciare i vecchi legami, collo scopo anche di rielaborare posizioni psichiche precedenti, e nello stesso tempo dando un volto al feto invisibile ed attribuendo un’identità familiare a questo “inquietante estraneo”. Tuttavia il  bambino immaginario che il genitore fantastica spesso è molto diverso da quello reale, l’accettazione e l’investimento di questo ultimo comporta un lutto.

Il bambino seduce il genitore, risvegliandone la sua predisposizione perversa polimorfa(3). In primo luogo il bambino stimola direttamente le zone erogene della madre (giocando con il capezzolo, poi con la bocca). Durante tutto il post-partum il bambino impone una vicinanza corporea costante che può sollecitare in maniera traumatica le difese sostenute, precedentemente, proprio tramite l’evitare il contatto.

Nella madre la sottomissione ai bisogni imperativi del bambino è unica. Essa impone abnegazione, facilmente osservabile in caso di disturbi del sonno, che può determinare sia un’autentica sottomissione masochistica e addirittura uno stato di tensione intenso.

Ovviamente nel presente articolo non mi è stato possibile esporre tutte le tematiche relative alle difficoltà genitoriali per la loro vastità e complessità. Ogni bambino è un individuo unico ed irripetibile e così la relazione con i propri genitori. Lo stesso sintomo non ha la stessa valenza ma per ogni bambino ha un significato unico e specifico. Ogni situazione va affrontata con un ascolto empatico, un’anamnesi accurata per arrivare ad un inquadramento diagnostico e terapeutico.